Ho trovato una vecchia pagina della Gazzetta dello sport e mi si è aperto il cuore.
L'articolo è di Donato Biancofiore, il poeta del Rugby.
Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci dalle orecchie che sembrano fiori di zucca), ce l’hai nel sangue. Si tramanda di padre in figlio, si trasmette tra fratelli, unisce nipoti e cugini. Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci dalle cicatrici a forma di cerniera lampo), ce l’hai addosso: quel profumo di terra e fango, quell’orgoglio di lividi e croste, quel senso dello stare insieme, bere insieme, giocare insieme. Squadra unita: tutti insieme. Mischia compatta: giù, insieme. Prima linea: braccia che si intrecciano, insieme. Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci anche dai cognomi che sovente danno di bosco e di stalla: Spaccamonti, Scanavacca,Torchio, Troncon) è come una guerra, ma di trincea, quando in genere le munizioni sono finite da un pezzo e la conquista del terreno, metro dopo metro, si fa sulla propria pelle, all’arma bianca. Per tutto questo, dicono i vecchi giocatori (li riconosci anche quando sono in giacca e cravatta: infagottati), i rugbisti non muoiono mai, al massimo passano la palla. Il 19 Gennaio 1999 Ivan Francescato non è morto: ha solo passato la palla. Perché Ivan era uno di quelli che non perdeva mai l’ovale, lo teneva sempre vivo, e se era affossato in una mischia, lo tirava fuori e lo giocava, via, di nuovo dentro, oppure al largo verso l’ala, o ancora dietro, in sostegno, o in un soffio, verso la bandierina o in mezzo ai pali. Ivan Francescato, ultimo di 6 fratelli, tutti rugbisti, tutti tre-quarti centro. Ivan, “Tarzan” da ragazzino, quando si divertiva a scalare muri, cancellate, alberi. Ivan “Il Selvaggio”, per una timidezza naturale combattuta con l’esuberanza e la spavalderia, ed un riserbo che era soprattutto ritrosia a mettersi in mostra. Ivan il “Terribile”, sul campo, con il Benetton Treviso e la Nazionale, per quello scatto repentino con cui bruciava gli avversari, quell’ardore che lo portava a placcare le seconde linee, quei guizzi imperiosi che sfruttò presto trasformandosi in centro dopo aver lasciato la maglia n.9 all’amico Troncon. Sono passati sei anni ma Ivan non è morto, adesso sarà con i Barbarians, o con gli All Blacks, o su un qualsiasi campetto di terra, i capelli al vento, i calzettoni abbassati, le cicatrici come cerniere lampo, un pallone bislungo che ha appena passato, e due pali alti che - basta crederci - portano in paradiso. |
Di Rugby ha parlato tanto e bene anche Marco Paolini nei sui Album.
Imperdibili.
Cigno
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