18 gennaio 2007

Il Proiezionista.

Mi è tornato alla mente un fatto accaduto durante l'infanzia. Ne scrivo, forse spinto da Alejandro Jodorowsky.

Da giovane ho fatto il proiezionista. Ogni tanto lo dico, perché sembra avere uno strano alone magico. La realtà è un po' diversa.

Nel mio quartiere c'è questo vecchio cinema in disuso, oggi ristrutturato in teatro. Ospita spettacoli ad ogni stagione e riscuote discreti successi. La gestione della struttura è affidata al parroco: è un caseggiato alto e grigio, un grosso parallelepipedo che ha occupato l'angolo buio dei miei occhi quando giocavo con le giostrine gialle e incrostate del parco giochi lì davanti. Incuteva e mi incute tutt'ora una strana sensazione di pacifica autorità, un vecchio pachiderma a riposo ricco di saggezza e ricordi ma pericoloso se decidesse di morire accasciandosi su un fianco.

In estate il parroco tiene una rassegna di cinema all'aperto giù in centro città in una corte di fianco al Duomo, e la fa gestire ai ragazzi della parrocchia. A suo tempo ci pagava 5000 lire l'ora, più qualche bibita che rubavamo dal suo frigorifero. A dire il vero solo i più valorosi si arrischiavano ad inalare il tremendo tanfo sprigionato da qualcosa marcito all'interno. Qualche lira in più arrivava da un giochetto che si faceva alla biglietteria. Se uno spettatore viene indotto (con l'ipnosi, un trucco di illusionismo, o semplice confusione) affinché dimentichi il suo biglietto all'ingresso, questo biglietto finisce allo spettatore seguente e i soldi del primo, ufficialmente mai entrato, cadono nelle tasche del bigliettaio.

Oltre al botteghino ci si occupava anche di noleggiare le quattro pizze di pellicola e montarle nei due tempi del film. Il montaggio avveniva nell'ex cinema del mio quartiere. Si entrava dal bar interno, ci si inginocchiava dentro un passaggio segreto dietro il bancone e dopo un tratto buio e pieno di ragnatele ci si trovava nelle scale di servizio che portavano alla sala di proiezione. Tutto era grigio, le vetrate ingiallite e abitate da migliaia di insetti morti davano luce a tre stanzoni. In quello centrale due grandi proiettori puntavano alle finestrelle alle quali mi perdevo a fissare la sala e il palco del nuovo teatro. Era un'emozione che i miei amici e compagni di lavoro non capivano. Su un tavolo era fissata una manopola per avvolgere le pellicole. Questo era il nostro unico strumento di lavoro.

Si prendeva la seconda pizza e la si avvolgeva a suon di manovella in una nuova bobina più grande. Dunque si prendeva la prima pizza e la si attaccava con del nastro adesivo al lembo libero della seconda. E giù di manopola. Lo stesso andava fatto per il secondo tempo. Un lavoro abbastanza semplice ma potevano esserci intoppi. Io ne causai due.

Un giorno dissi agli amici che mi sarei arrangiato e li lascia ai piedi della scala a rinfrescarsi con birre e bibite. Feci tutto come al solito. Ma preso dalla foga e dal caldo mi tirai su le maniche e girai la manovella a gran velocità, forse per dimostrare che da solo ci avrei messo la metà del tempo. Sudavo e acceleravo, i muscoli gracili ma visibili da dodicenne si gonfiavano e la facevo volare quella pizza, cazzo se volava. L'ingranaggio era vecchio e mancava il perno che avrebbe dovuto tenere ferma la bobina. Quando la pizza uscì dalla sede partì a razzo e la pellicola si srotolò nel suo centinaio e più di metri riempiendo tutto il pavimento e continuando fin giù per la scala. Imprecai.

L'altro intoppo possibile è quello di montare una pellicola già avvolta. Per chiarirci il riusltato è che la gente vede il film regolarmente ma tutt'a un tratto l'audio svanisce e le immagini sono a testa in giù. Quella sera il parroco strappò la bobina dal proiettore, la lanciò dentro la sua vecchia Fiat Ritmo bianca e corse a più di cento all'ora fino al nostro quartiere, per rimontare il film correttamente prima che il pubblico cominciasse a chiedere risarcimenti. Quando la polizia lo fermò noi eravamo silenziosi e immobili nei sedili posteriori e non ricordo cosa raccontò loro. Lo vidi smanettare su quella manovella più veloce di quanto avevo fatto io, cazzo se andava veloce, molto più veloce.

zage

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