5 aprile 2006

DIG! - Il marketing è il male del secolo.


Davvero non mi entusiasmano i ragazzetti che fanno le dive, pippando e tirandosi dietro gli strumenti.

Ma non è questo a non avermi fatto godere l'acclamatissimo rockumentario DIG! (bah, difficile da tradurre, oso un gergale "Ci sto dentro!") girato dalla Ondi Timoner (lo dico alla milanese per farvi intendere che è unA regista).

Per intanto sono felice di averne una copia originale (in inglese, credo non esista una versione in italiano, forse se ne trova una in giro trasmessa dalla satellitare CULT con sottotitoli in italiano), grazie a Sara e Cigno che me l'hanno donato per il mio compleanno conoscendo la mia mania per i rockumentari.

Come pubblicizzato in lungo e in largo su volantini, locandine, recensioni, blabla, dovrebbe trattarsi di un documentario sulle band rock Dandy Warhols (quelli di "and i like you and i feel so bohemian like you...") e i Brian Jonestown Massacre (quelli di... ehm...).

Ecco, questo è il bandolo del problema, e cioè che invece le due band non c'entrano uno stracazzo.

Esagero.

Cerco di spiegarmi.

In realtà è la storia di un ragazzo (pippato sì), Anton Newcombe frontman del secondo gruppo citato, che tenta di attraversare una sua adolescenza alquanto sfasata (le riprese sono durate ben sette anni) producendo musica con centinaia di strumenti e strumentini suonati tutti da lui, scrivendo decine di album all'anno e registrandoli nelle sue stanzette in affitto, cercando invano di attraversare l'America strimpellando i suoi pezzi su una chitarretta acustica, cercando di rimanere lucidi. Ecco di cosa si tratta, e non mi dispiace neppure come soggetto.

Che poi in mezzo ci sia qualche immagine dei Warhols; che Courtney Tailor, leader dei medesimi, abbia prestato la voce per commentare le vicende di Newcombe; che sia divertente vedere il cembalista cogli occhialoni fare l'idiota (ottimo deuteragonista, comunque)... onestamente non mi sembra il punto centrale del documentario.

Capisco che se il film vuole fare il giro del mondo e arrivare perfino a me, allora è indispensabile mettere i nomi delle due band belli grandi in copertina, facendo precedere quello della band più famosa. Ma è proprio questo a deludermi, due stellette per voi, non di più.

I miei rockumentari preferiti per ora rimangono il psicologico Some Kind of Monster e il sardonico L'ultima settimana dei Mu, no anzi no, questo secondo no.

Zage

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